Umorismo di sostegno
PUBBLICAZIONE UMORISTICA FONDATA DALL'ACCADEMIA DEI CINQUE CEREALI IL 2 GIUGNO 2016
ANNO IX d.F. - IDEATO, SCRITTO, IMPAGINATO, POSTATO E LETTO DAGLI AUTORI E DA SEMPRE DEDICATO A FRANCO CANNAVÒ
Fondatore e macchinista: Paolo Marchiori.
Vicedirettori postali (addetti ai post): Stefania Marello, Christina Fasso, Italo Lovrecich, GioZ, il Pensologo Livio Cepollina.
LA MOSCA COCCHIERA IN PILLOLE
IN PILLOLE
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Si è diffusa l’idea che siano i troppo ricchi a costringere la popolazione mondiale in uno stato di indigenza. La realtà le disuguaglianze di reddito diminuiscono: l’idea che l’economia sia un gioco a somma zero, ciò che guadagno io lo perdi tu, non è vera: quando il Pil cresce, cresce la ricchezza disponibile. Si tratta di stabilire se questo aumento di ricchezza fa ridurre la povertà, oppure no. Il rapporto Oxfam, basato su dati del Global Wealth Report 2023 di Ubs-Credit Suisse, sostiene che dal 2020 i cinque uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato le loro fortune, da 405 a 869 miliardi di dollari, e invece quasi cinque miliardi di persone sono state rese più povere. Stabilisce insomma una relazione tra l’arricchimento di pochi e la povertà di molti (e usa numeri non comparabili). Lo studio di Ubs-Credit Suisse indica al contrario che la ricchezza dell’1% più facoltoso è scesa nel 2022, e il numero dei milionari in dollari è sceso di 3,5 a 59,4 milioni. Soprattutto, rivela che la ricchezza mediana globale è aumentata del 3% nel 2022. Ci sono ingiustizie, ma meno povertà: e questo, perché si crea ricchezza. Meglio poveri che disuguali? Il Professore Chiarissimo Sun Nen Bun, Dipartimento Torrazzese dell’Università di Pensologia di Torino: “Va bene la classe media: hai tutto, ma senza ostentazioni”.
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Chi è “malato” di lavoro non è diverso da un alcolista o un ludopatico. Come le altre dipendenze, fa stare male. Emerge da uno studio sui “workaholic”, pubblicato su “Journal of Occupational Health Psychology”, e realizzato da Cristian Balducci, docente del Dipartimento di Scienze per la qualità della vita dell’Alma Mater di Bologna (Campus di Rimini), in collaborazione con Luca Menghini dell’Università di Trento, e Paola Spagnoli dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Le persone affette tendono a lavorare in modo eccessivo e compulsivo: un’ossessione per il lavoro con forti ripercussioni negative sulla salute, sul benessere psicologico e sulle relazioni con familiari e amici. Chi ne soffre prova emozioni negative come ostilità, ansia e senso di colpa quando non riesce a lavorare quanto vorrebbe. Il team ha voluto fare luce sui sentimenti che emergono mentre lavorano. Coinvolti 139 lavoratori full-time in attività di back-office. Con un test psicologico è stato valutato il livello di dipendenza da lavoro, analizzato il loro umore e la loro percezione del carico di lavoro attraverso una app sui telefoni, che inviava brevi questionari ogni 90 minuti, in tre giornate lavorative (lunedì, mercoledì e venerdì). Emerge che la relazione tra dipendenza da lavoro e umore negativo sia più marcata nelle donne, che sarebbero dunque più vulnerabili al problema. Considerato che il “workaholic” tende a ricoprire incarichi di responsabilità il suo umore negativo potrebbe intaccare quello di colleghi e collaboratori. Pericolo che le organizzazioni dovrebbero tenere in seria considerazione, disincentivando i comportamenti che portano al problema. Il Professore Chiarissimo Sun Nen Bun, Dipartimento Torrazzese dell’Università di Pensologia di Torino: “Molti defungono un mese dopo esser andati in pensione”.
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Il caffè è un alleato contro il diabete: tre tazzine al giorno aiutano a contrastarlo. Grazie alla ricca miscela di composti bioattivi, tra cui i polifenoli, può influenzare positivamente il metabolismo del glucosio e i processi antiossidanti. È un’evidenza confermata dallo studio pubblicato sulla rivista Clinical Nutrition, secondo il quale è associato a un rischio inferiore di circa il 25% di sviluppare la patologia, rispetto ad un consumo inferiore o nullo. 400 mg di caffeina al giorno è la dose corretta per la maggior parte delle persone. ISIC, Institute for Scientific Information on Coffee, segnala numerose evidenze scientifiche sul tema. È evidenziato che l’assunzione a lungo termine di caffè può contribuire al “carico antiossidante totale” della dieta, aiutando a limitare lo stress ossidativo, quindi la relativa insorgenza della patologia. Il Professore Chiarissimo Sun Nen Bun, Dipartimento Torrazzese dell’Università di Pensologia di Torino: “Non per me: dopo il secondo caffè comincio a mordere”.
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