Umorismo di sostegno
PUBBLICAZIONE UMORISTICA FONDATA DALL'ACCADEMIA DEI CINQUE CEREALI IL 2 GIUGNO 2016
ANNO IX d.F. - IDEATO, SCRITTO, IMPAGINATO, POSTATO E LETTO DAGLI AUTORI E DA SEMPRE DEDICATO A FRANCO CANNAVÒ
Fondatore e macchinista: Paolo Marchiori.
Vicedirettori postali (addetti ai post): Stefania Marello, Christina Fasso, Italo Lovrecich, GioZ, il Pensologo Livio Cepollina.
L’INSOSTENIBILE RISONANZA DELL’AMORE
San Valentino è passato, portandosi via il suo carico di cuori, fiori e code fuori dai ristoranti e dai locali. Ma ho ripensato a questa celebrazione dell’amore leggendo un articolo su una singolare ricerca, condotta dal filosofo finlandese Pärttyli Rinne, con la collaborazione dell’Istituto di Neuroscienze dell’Università finlandese di Aalto: alcuni scienziati sarebbero riusciti a osservare l'amore in tutta la sua variegata e luminosa intensità, prodotta dalla “accensione” di determinati centri di attività cerebrale.
Lo scopo della ricerca era stabilire quale fosse l’amore più intenso: quello per i figli, o quello per i genitori? L’amore fraterno o quello per l’amante? L’amor cortese, o quello “ch’a nullo amato amar perdona”?
Per misurare scientificamente l’amore si è utilizzato uno strumento diagnostico altamente tecnologico: la Risonanza Magnetica Nucleare. La Risonanza Magnetica? Cioè quell’esame che noi utenti del Sistema Sanitario Nazionale prenotiamo oggi per poterlo eseguire fra circa un anno? Proprio quello. Forse in Finlandia la sanità pubblica funziona meglio che da noi, e si possono permettere di giocare con strumenti diagnostici costosissimi.
Si sono sottoposti al test 55 volontari variamente innamorati. Durante l’esame un attore leggeva prose o poesie, relative a ciascun tipo di amore. Si chiedeva ai partecipanti di concentrarsi sui sentimenti suscitati durante l’ascolto. Le immagini della parte di cervello soggetta a maggior vibrazione sono state catturate dallo strumento, e interpretate dagli specialisti.
Da questo studio sembra che l’amore che fa vibrare di più i neuroni sia quello per i figli. Una cosa credibile, dal momento che è l’unico tipo di amore che fa fare cose che ai non-genitori possono sembrare eroiche, ma anche un po’ assurde: restare svegli per notti intere ninnando il piccolo insonne urlante, telefonare al pediatra alle tre di notte perché la creatura ha il singhiozzo, esibirsi in raccapriccianti teatrini solo per far ingoiare al pargolo inappetente qualche cucchiaiata di pappa, spendere metà stipendio in pannolini e latte in polvere, prodotti quotati in borsa come l’oro. E questo soltanto nei primi anni di vita.
Secondo i risultati dello studio, quindi, l’amore per i figli sarebbe il più intenso, sia come intensità che come durata, subito seguito dall’amore per il partner. Vibrazioni via via più fioche sono state rilevate nel cervello di chi ha pensato agli amici, ai parenti o agli animali da compagnia.
Ho parlato di questa ricerca a conoscenti e amici che, per motivi di salute, si sono sottoposti almeno una volta alla Risonanza Magnetica. Tutti sono stati concordi nel dire che essere infilati dentro l’angusto tubo di questa macchina infernale non è un’esperienza piacevole, con o senza lettura di poesie d’amore.
Il primo problema è costituito dai rumori, descritti da tutti come forti, fastidiosi, addirittura assimilati a quelli prodotti da un martello pneumatico. Il secondo problema è che il tubo in cui si deve giacere, immobili, per una ventina di minuti, è stretto e inquietante. Chi soffre di claustrofobia deve drogarsi di ansiolitici per poter resistere all’impulso di urlare; chi non è claustrofobico, dopo l’esperienza lo diventa. Isolati dal resto del mondo, si perde la cognizione del tempo: un minuto può sembrare un’ora, e l’unico sentimento è la speranza che l'esame finisca presto e si possa finalmente uscire all’aperto. Alla domanda “Non hai provato a concentrarti su sensazioni piacevoli, tipo i sentimenti d’amore per il partner, o i tuoi figli, o il tuo gatto?” tutti quanti mi hanno guardato come se fossi una ritardata mentale: quando sei rinchiuso dentro il tubone della risonanza - hanno detto - gli unici sentimenti che ti “risuonano” in testa sono l’ansia e l’oppressione, e se ti viene la tachicardia nulla ha a che vedere con il batticuore degli innamorati.


IL COLLOQUIO DELLA NONNA
Prestatemi orecchio, vorrei di raccontarvi il mio primo colloquio di lavoro, alla Lancia S.p.A di Torino.
Negli anni settanta la gloriosa fabbrica di automobili creata da Vincenzo Lancia esisteva ancora in forma autonoma, anche se era sul punto di essere divorata da mamma Fiat.
Con me c’erano altri quattro candidati, tutti neo-laureati.
Ci sottoposero ad una serie di test di logica e matematica abbastanza impegnativi, e ci congedarono col solito "vi faremo sapere".
Una settimana dopo mi telefonarono per comunicarmi giorno e ora del colloquio con l'Ufficio Personale.
Al colloquio c'era la Direttrice in persona, una tizia sui cinquant'anni, alta, magra e abbastanza spocchiosa. Mi trattò da subito con sufficienza, quasi con fastidio, come se io rappresentassi soltanto una perdita del suo prezioso tempo. Mi fece capire, con frasi indirette, che non ero adatta al posto.
Poi mi parlò a lungo del prestigio delle auto Lancia, del successo degli ultimi modelli, la Delta e la Gamma, auto destinate a un certo “target” (parola a me ancora sconosciuta) di clientela.
Poi, a bruciapelo: - Lei ha la macchina, vero?
- Sì certo – risposi, quasi con orgoglio.
- Che macchina ha?
- Beh... ho una Fiat Cinquecento... (non specificai che era di terza mano, tutto quello che mi ero potuta permettere dando lezioni private).
La signora, che in seguito non ebbi mai più il piacere di incontrare, mi guardò come fossi una caccola, e mi congedò.
Non ci fu nessuna di quelle astuzie, di quegli espedienti che oggi utilizzano i selezionatori del personale: offrire un caffè e osservare dove verrà appoggiata la tazzina vuota, lasciar cadere una penna e notare se il candidato la raccoglie, e altre amenità di questo genere. Ebbi solo la certezza che, per qualche motivo, non ero piaciuta.
Una settimana dopo ricevetti una telefonata del tutto inattesa:
"Buongiorno, sono la segretaria del Centro Elaborazione Dati della Lancia. Se è ancora interessata al posto può presentarsi domani alle 9, per firmare il contratto di lavoro a tempo indeterminato."
Però! - pensai, da giovane proletaria, ex-sessantottina - le vie dei capitalisti sono davvero imprevedibili.
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Nonna Abeffarda – ACC

CAMBIA LA NORMA SUI PARCHEGGI A LISCA DI PESCE

Nuova regola del Codice della Strada
A tutti è capitato, in pieno centro, di scorgere un parcheggio libero e di avvicinarsi scoprendo con grande disappunto che il posto era occupato da una Smart o da una miniauto?
Purtroppo, spesso, questi veicoli a passo cortissimo vengono posteggiati molto avanti rispetto alle altre vetture dando così l’illusione di lasciare un posto libero.
Questa piaga colpisce indistintamente parcheggi liberi, a pagamento e con disco orario, purché siano a "lisca di pesce", come si chiamano in gergo.
Da qui l’esigenza di legiferare e individuare una regola valida per tutti gli automobilisti inserendola nel Codice della Strada.
Non si tratta di un valore assoluto perché dipende dalla posizione degli altri veicoli e la linea di riferimento è determinata da quello più arretrato.
La formuletta non è semplicissima, subentrano variabili come il raggio di sterzata e la lunghezza della miniauto, ma è sufficiente viaggiare accompagnati da un geometra per evitare multe salate e decurtazione punti sulla patente di guida.
L’unico inconveniente è che l’auto a due posti, a causa della presenza del tecnico abilitato, diventa di fatto una monoposto, ma si calcola che verranno creati più posti di lavoro rispetto al tanto discusso Jobs Act.
Freddy Marchiori – ACC (MAGGIO 2017)
LA RISTAMPELLATA: questo articolo è stato scritto tra il 2016 e il 2018 e viene qui riproposto a grande richiesta.

ARTEMISIA
Prestatemi orecchio che vi chiacchiero la storia di Artemisia Gentileschi (1593-1653).
Figlia di Orazio Gentileschi ereditò tutto il talento del padre.
Crebbe in mezzo alle tele e ai colori ma, all’epoca, non solo era vietato alle donne praticare arti come la pittura, ma veniva giudicato scandaloso. Il padre, riconoscendone la bravura, le permetteva di dipingere e di farsi aiutare nel lavoro, firmando lui stesso le tele per evitare problemi con la Giustizia.
Tuttavia, il suo talento era talmente grande che decise di mandarla a scuola da Agostino Tassi, un vedutista che dipingeva paesaggi.
Ma il Tassi abusò di lei, facendole credere di essere scapolo; una situazione difficile per una allieva che subiva l’autorità del suo maestro.
Artemisia non si fece intimidire, e fu la prima donna a intentare una causa per stupro contro un uomo: nonostante le forti pressioni psicologiche riuscì a vincerla.
Possiamo ben immaginare quale grande coraggio ci volesse nel portare un uomo in tribunale, in un periodo storico in cui le donne non avevano alcun diritto riconosciuto, né in privato, né tantomeno nel sociale.
In seguito si sposò e si trasferì a Firenze.
Era un’estimatrice del Caravaggio e ne studiava i quadri, specialmente il famoso dipinto che rappresenta Giuditta che taglia la testa a Oloferne.
Si narra che Artemisia, nel riprodurre questo quadro, abbia messo la testa di Agostino Tassi (il suo maestro e stupratore) al posto di quella di Oloferne.
Se confrontiamo i due quadri, notiamo che il dipinto di Caravaggio è indubbiamente impeccabile, ma manca di quella forza, di quella veemenza che invece Artemisia è riuscita a dare alla sua tela, in virtù dell’orribile esperienza vissuta.
La Gentileschi si distingue da Caravaggio proprio in questo: la Giuditta del Caravaggio sembra che impugni la spada con delicatezza, mostrando solo un’ombra di disgusto in volto, mentre la Giuditta dipinta da Artemisia rivela forza e decisione nel decapitare il grande Oloferne.
Patty Biancoperla – ACC

BLASFEMIA E DIRITTO DI PRECEDENZA A INDIGNARSI

Gen.ma Accademia dei Cinque Cerali,
c’erano un cattolico, un ebreo e un testimone di Geova… sembra l’inizio della solita barzelletta, ma è andata esattamente così, e c’erano anche un ortodosso, un induista e un protestante.
Mi chiamo Benedetto e lavoro come operaio specializzato presso una ditta di manutenzioni edili che si occupa principalmente di appalti pubblici.
Ieri pomeriggio stavo riparando un tombino ubicato all’incrocio principale di Brevigliasco, quando mi sono dato una martellata su un dito.
Immediatamente mi è partito un moccolone, uno di quelli che non si sentono neppure nelle osterie malfamate di Rovigo.
I sei “diversamente credenti” si sono guardati con aria interrogativa: non sapevano chi di loro dovesse indignarsi.
Se bestemmio mentre incrocio un qualunque credente, questo si offende perché mi ha sentito bestemmiare, oppure non ci fa caso in quanto ho bestemmiato un dio che non è (o potrebbe non essere) il suo?
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RISPOSTA:
Gentile signor Benedetto (che ha maledetto qualche divinità in un momento difficile) cercherò di rassicurarla.
Si dice che la bestemmia non aiuti a risolvere i problemi e neppure a lenire le nostre sofferenze, eppure, secondo alcuni recenti studi psicologici, essa aiuta a scaricare la tensione e la rabbia, e avrebbe addirittura un blando effetto anestetico sul dolore.
La blasfemia per un ateo è molto simile alla preghiera per un credente: né l’una né l’altra hanno poteri miracolosi, ma entrambe danno un momentaneo sollievo. Insomma, Dio non c’entra, e neppure Gesù o Maometto, o Budda o Confucio. E c’è chi sostiene che nell'improvvisa bestemmia di un povero disgraziato c'è più sentimento religioso che nella silenziosa preghiera del credente devoto.
Uno dei dieci comandamenti intima di non nominare il nome di Dio invano, dove invano significa inutilmente, senza motivo. Ma un motivo c’è sempre, altrimenti a nessuno verrebbe in mente di urlare insolenze alle divinità. Inoltre, tra gli studiosi della Bibbia esiste una corrente di pensiero secondo cui la parola “invano” sarebbe stata male interpretata: sulle tavole consegnate a Mosè ci sarebbe stato scritto “in vano”, cioè non si deve nominare il nome di Dio in luoghi chiusi, come nei vani di una casa, ma è consentito all’aperto.
Un tempo in Italia bestemmiare era un reato, ma dal 1999 l'imprecazione rivolta ad una divinità costituisce soltanto un illecito amministrativo. In sostanza, se si viene denunciati per blasfemia si dovrà pagare una multa, ma non si subirà una pena detentiva. Tuttavia, se ho ben capito, il suo problema non è il timore di incorrere nella Giustizia Italiana, quanto la paura di offendere un compagno di lavoro, che potrebbe volerlo educare al rispetto utilizzando lo stesso martello incriminato… Si rassicuri: i suoi colleghi di lavoro appartenenti ad altre religioni non si offenderanno, dal momento che credono in una divinità diversa da quella da lei nominata invano (o in vano, se lavorate all’interno).
A ogni uomo o donna può sfuggire un bel bestemmione ogni tanto, fa parte della natura umana. E non solo umana: qualcuno sostiene che persino i grilli bestemmiano, ma, poverini, sono balbuzienti…

NATI COL DOLCEVITA
Da accreditate statistiche apprendiamo che la durata media della vita è ancora aumentata. Gli italiani non saranno longevi come i giapponesi, ma si difendono bene. Il problema è che non tutti invecchiamo allo stesso modo, mantenendo la salute e l’autonomia: per moltissimi anziani più che di lunga vita si dovrebbe parlare di faticosa sopravvivenza, tra acciacchi, invalidità, ospedalizzazioni e cure.
Abbiamo però rari casi di invecchiamento eccellente, e i media sono sempre pronti a parlarne, con dovizia di particolari e ottimismo esagerato. Uno di questi è un illustre ricercatore, noto a tutti per apparire in TV indossando sempre un dolcevita bianco sotto la giacca. Qualche malalingua afferma trattarsi del primo uomo ad essere nato, anziché con la camicia, con il dolcevita. Questo distinto signore si vanta di aver superato il novantaseiesimo compleanno in ottima forma. E non occorre che lo dica, basta guardarlo: invidiabile l’aspetto fisico, l’eloquio fluido e corretto, e quella “verve” disinvolta e colta, che la maggior parte di noi non aveva nemmeno a vent’anni.
Come sempre accade in questi casi, l’intervistatore si spertica in lodi e ammirazione, elenca i suoi successi, i suoi traguardi professionali, le sue numerose onorificenze, e infine pone la fastidiosa domanda: qual è il segreto di una longevità così attiva? Ormai lo sappiamo anche noi, i “segreti” di questi fenomeni di chiara fama sono sempre gli stessi: carestia nutrizionale, attività fisica regolare e intensa vita sociale. Non fumano, non bevono, quasi non mangiano, e lavorano ancora! Che avranno da rallegrarsi non si sa.
Anche l’arzillo professore col dolcevita afferma di mangiare pochissimo, di camminare ogni giorno per cinque (ha detto proprio cinque) chilometri, eppure trova ancora il tempo per recarsi al lavoro, partecipare ai convegni, e persino scrivere libri. Non usa ausili ortopedici, non ha bisogno di assistenza. Del resto, quale badante sarebbe disposta a scarpinargli accanto per cinque chilometri ogni giorno? Nonostante sia fondatore e presidente di un noto istituto di ricerche farmacologiche, il nostro super nonno non assume farmaci: non ne ha bisogno, beato lui. Se fossimo tutti così le ricerche sui farmaci sarebbero in crisi. Invece, sono diventate indispensabili grazie al gran numero di anziani che non sono nati né con la camicia né col dolcevita, ma affrontano i normali problemi dell’invecchiamento.
Non per polemizzare a tutti i costi, ma secondo me questo tipo di interviste è crudele nei confronti di milioni di vecchiette e vecchietti, meno fortunati o semplicemente normali. Basta guardarsi intorno, anche nelle nostre stesse famiglie e fra gli amici: la stragrande maggioranza degli over 90 cammina con difficoltà, subisce cadute e conseguenti fratture ossee, combatte ogni giorno con dolori articolari, malattie croniche o, peggio, demenza senile. E assume farmaci, tanti, ammalandosi ulteriormente di effetti collaterali.
Quanto ai rapporti sociali così raccomandati i novantenni del mondo reale sono fortunati se riescono a scambiare due parole con la vicina di casa o con il finto carabiniere che sta cercando di truffarli. Se ancora abitano a casa loro e non in qualche squallida RSA, escono solo per fare la spesa, oppure si trascinano col deambulatore fino alla bocciofila; guardano qualche demenziale programma televisivo, con i sottotitoli, perché gli apparecchi acustici costano cari per chi deve contare soltanto sulla pensione. Se hanno figli e nipoti che vanno a trovarli non sanno che cosa dire a causa del divario enorme di età, linguaggio, culture e opinioni: si limitano a guardarli smanettare tutto il tempo con lo smartphone.
Evidenziare certe situazioni privilegiate, dovute a combinazioni genetiche e sociali particolarmente favorevoli, è scorretto: un po’ come se i grandi ricchi del pianeta si vantassero in TV dei loro successi e del loro patrimonio, e si arrogassero il diritto di elargire consigli ai poveracci.
Cosa? Ah… lo fanno veramente?

Gli scritti che contengono riferimenti a persone realmente esistenti hanno il solo scopo (si spera) di far sorridere e sono frutto del vaneggiare degli autori. Se tuttavia qualcuno non gradisse un articolo o una sua parte può chiederne la rimozione all’indirizzo di cui sopra, motivando l’istanza.
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